Osservazioni di Jürghen Rausch.

SALDATURE

Osservazioni sui lavori di ETTORE PERONI

Come il pittore parla dei collages, con lo stesso spirito noi parliamo di saldature. La cosa comune ad entrambi è che essi lavorano oggetti preformati. Sarà difficile trovare qualcosa di paragonabile per quanto riguarda il materiale, il principio di creatività e la tematica. A meno che non si prenda il teschio di toro di Picasso con le corna di un manubrio di bicicletta come chiave per quest’arte che usa oggetti preformati e sorpassati per inserire in termini letterali composizioni che presuppongono un’ottica capace di attribuire all’oggetto già strutturato per un impiego tecnico la sua possibile collocazione in contesti completamente diversi. Ad esempio attrezzi come rastrelli a molla, martelli, falcetti, forbici e maglie di catena mediante «traslazione» in un contesto biologico assumono un’importanza che deve lasciare attonito l’osservatore.

Improvvisamente egli riconosce attrezzi

la cui varietà gli è familiare, legati ad uno scopo specifico, destrezza della mano, residui metallici, appartenenti al fiume oggi così straripante dello sciupio, in strutture di ogni formato, di ogni disposizione d’animo ed ammira la forza d’inventiva che la sua attitudine non gli avrebbe fatto sognare. Improvvisamente abbiamo davanti – irriconoscibile – Pinocchio o Don Chisciotte, saldati in grandezza superiore al naturale, che conservano totalmente la loro sottile comicità, con un gusto i cui elementi erano considerati banali o inutili. L’essenza di cose note appare ai nostri occhi in uno straniamento meraviglioso, come se il fuoco di uno spirito avesse avuto la capacità di fondere una forbice come becco ciarliero nella testa di un uccello, di togliere il suo peso al prodotto grezzo e di trasformare un artificioso rastrello in una leggerissima piuma di struzzo. L’ingombro del materiale rende difficile la statico. Come si può far stare diritto un serpente che si raddrizza attorcigliato con anelli di catena e le vertebre visibili della spina dorsale in grandezza superiore al naturale? Come diventa arte l’opera artistica di un artigiano senza che non ci sia nulla? Come deve essere sicura la concezione di superare la destinazione originale vincolata ad uno scopo specifico della cosa da rappresentare per mettersi in laboratorio – letteralmente – i componenti estranei a sé! 

Il procedimento di lavoro, la via per la 

rappresentazione della concezione mediante il materiale sono contrapposti a quello dello scultore. Mentre questi trova il materiale come blocco dal quale ricava la sua opera, Peroni compone materiale e concezione contemporaneamente, sopratutto da elementi componenti preformati, dei quali deve considerare la loro «duttilità». Egli non cerca prima il suo materiale come fa lo scultore con il marmo, ma prima lo produce in funzione della rappresentazione. Egli lo inserisce nella concezione, la cui forza espressiva domina vittoriosamente l’estrosità del materiale destinato ad uno scopo specifico.
Questo non è alieno alla forma cui deve servire ed il rapporto dell’artista con il medesimo non è diretto, bensì è mediato da plasmature mirate che rendono difficile la via di un riempimento chiaro dello spazio. La figura nel suo complesso rimane in qualche modo porosa. Si pone la domanda se in questa «lacunosità»

Ettore Peroni scultore a Torri del Benaco - VR

Il procedimento di lavoro, la via per la rappresentazione della concezione mediante il materiale sono contrapposti a quello dello scultore. Mentre questi trova il materiale come blocco dal quale ricava la sua opera, Peroni compone materiale e concezione contemporaneamente, sopratutto da elementi componenti preformati, dei quali deve considerare la loro «duttilità». Egli non cerca prima il suo materiale come fa lo scultore con il marmo, ma prima lo produce in funzione della rappresentazione. Egli lo inserisce nella concezione, la cui forza espressiva domina vittoriosamente l’estrosità del materiale destinato propria delle grandi opere non vada perduta la loro plasticità. Come riesce questo astuto compositore ad ottenere il riempimento degli spazi fisici ed a dominare la struttura e l’ossatura? C’è solo una risposta: mediante il movimento convincente dei gesti. È questo che incanta l’occhio. Peroni non astratizza l’oggettività, ma supera attraverso il tipo della composizione la finalità dell’oggetto, oggetto che viene riconosciuto fino ad affondare completamente nel movimento.

Per ottenere ciò non è necessaria solo abilità

artigianale ma anche uno sguardo fermo per l’essenziale, questa totalità che evita di costringere il singolo oggetto preformato in un contesto convincente. La parola «lavoro artigianale artistico» qui non è appropriata, in quanto essa sottintende esigenze di utilità. Questo non è il caso. Questa frase forse descrive solo l’eccezionalità del lavoro, ma non rappresenta affatto tutto lo spettro della produzione. Non tutte le opere sono astrazioni di questo genere. Incontriamo semplificazioni geniali nelle quali astrazione e concentrazione sono lo stesso processo, non per rendere estraneo l’oggetto in altri contesti ma per delineare sovranamente il tipico. Su un disco di metallo con lo spessore di un dito, ad esempio, Peroni intaglia siluette di anatre nell’acqua e iI movimento è così netto che si sentono schiamazzare e non occorre nessun’altra spiegazione.

Ettore Peroni scultore a Torri del Benaco - VR

Poter guardare ed imparare osservando, si percepisce una plasticità eterea dove trionfa il movimento inconfondibile di riempimento dello spazio. Diversamente appare la pura gioia che scaturisce dalle possibilità del metallo. Esso modifica le dimensioni: i fiori grandi come alberelli animano i suoi giardini. Sono rappresentate forme primitive: il Globo, lo scheletro del cielo in ferro, il gioco del cerchio, come se la forza di gravità fosse stata eliminata. La dominanza della religiosità non è celato in questo mondo delle invenzioni. 
Il crocifisso è rimasto un tema che racconta meno di quanto accadde e mette piuttosto in risalto la violenza mortale dell’uomo mediante la croce come segno della nostra esistenza.

Jürgen Rausch